La vittoria a tutti i costi: riflessioni psicologiche sul doping nello sport
Pubblicato il 29-03-2022
Il mondo dello sport, oltre a evocare una dimensione competitiva e ludica, dovrebbe avere anche il compito di veicolare una serie di valori, tra cui la tensione verso l’eccellenza, l’auto-miglioramento continuo, il rispetto per i compagni di squadra e gli avversari, e non ultimo, l’attenzione nei confronti della propria salute.
Purtroppo, come è ben noto, accade che in determinati casi gli atleti facciano uso di sostanze – naturali o chimiche – al fine di “migliorare rapidamente” le proprie prestazioni!
Tali sostanze sono spesso di natura illegale, e qualora l’atleta in questione dovesse risultare positivo ai controlli ant-doping di circostanza potrebbe pagare a caro prezzo tale scelta, soprattutto in termini di carriera.
Secondo la legge italiana, vengono considerate “dopanti” tutte quelle sostanze proibite in grado di influire sulla qualità della prestazione, modificandola. È considerato doping anche l’assunzione di sostanze legali che possano “mascherare” l’utilizzo delle sostanze proibite sopraccitate.
Al di là degli aspetti etici – alterare “artificialmente” le proprie prestazioni atletiche rappresenta una mancanza di rispetto nei confronti della propria disciplina e di chi la pratica con impegno e correttezza – non è possibile ignorare la portata che la questione del doping può avere sulla dimensione della salute fisica e psicologica dell’individuo che ne fa uso.
Alcune sostanze o farmaci assunti a scopo dopante possono infatti avere un effetto diametralmente opposto a quello previsto, specialmente nel caso in cui vengano somministrati a persone che presentano uno stato di salute ottimale, finendo paradossalmente per danneggiare la prestazione sportiva e la salute stessa dell’atleta.
Sul piano psicologico, arrivare all’utilizzo di sostanze dopanti equivale non tanto ad ammettere che non si è in grado di “farcela con le proprie forze”, quanto che non si crede di essere capaci di progredire, di non essere abbastanza in gamba per crescere nel proprio livello di pratica e, forse, persino di non meritare il successo e la vittoria.
Doping non significa solo “rubare” la vittoria agli avversari, ma rubare a se stessi la possibilità di crescere nel proprio percorso, dando erroneamente maggiore importanza al fine anziché ai mezzi impiegati per raggiungerlo.
La pratica sportiva non dovrebbe essere finalizzata esclusivamente alla vittoria; praticare uno sport significa far parte di un mondo, fatto di sfide, di dedizione, di pratica individuale e collettiva, di successi e fallimenti. Esattamente come nella vita reale!
Come disse lo scrittore statunitense Henry Miller in un suo aforisma, “Una destinazione non è mai un luogo, ma un modo nuovo di vedere le cose”.
Ciò significa esattamente che ciò che incontriamo alla fine di un percorso è il “panorama” che noi stessi abbiamo contribuito a creare, insieme ai nostri compagni di viaggio (o di squadra!) man mano che procedevamo nel percorso stesso.
La strada su cui camminiamo, corriamo, combattiamo, saltiamo; come atleti e come esseri umani, sarà quella che avremo costruito noi stessi, con passione e dedizione, nel corso di tutta la nostra vita.